
Ammettiamolo: della storia della Danimarca non sapevo niente. Se a “Chi vuol essere milionario” mi avessero chiesto chi fosse Cristiano VII, probabilmente sarei tornata a casa con le pive nel sacco. Poi ho letto Il medico di corte di Per Olov Enquist e improvvisamente mi sono ritrovata catapultata in un dramma politico settecentesco, con un re pazzo, un medico troppo intelligente per il suo bene e una corte che sembra uscita da un manuale su come NON governare un paese.
La storia a grandi linee è questa: Cristiano VII è il re di Danimarca ma definirlo padrone del proprio destino sarebbe un tantino esagerato, visto che soffre di problemi mentali e passa più tempo a farsi manipolare che a governare. A un certo punto entra in scena Johann Friedrich Struensee, medico illuminato, progressista, convinto che la ragione possa salvare il mondo. Peccato che il mondo non sia pronto ad essere salvato. In pochissimo tempo, Struensee diventa il vero padrone del regno, abolisce torture e privilegi, introduce un numero spropositato riforme modernissime e si fa un numero impressionante di nemici. A corte lo odiano, l’aristocrazia lo detesta, il popolo non sa se amarlo o linciarlo. E, per complicare ancora di più le cose, indovinate un po’ di chi si innamora?
Ora, tutto questo sarebbe già interessante di per sé ma Enquist riesce a renderlo ancora più magnetico. Il bello è che, nonostante l’inevitabilità della catastrofe, il libro non è mai noioso. Anzi, si legge con l’urgenza di un thriller politico, perché la domanda non è tanto “cosa succederà?” (spoiler: niente di buono), ma “fino a che punto riuscirà a spingersi Struensee prima che gli facciano la festa?”.
Quando ho finito Il medico di corte, ho avuto un pensiero chiarissimo: questo sì che è giornalismo. Quello vero, quello che va dritto al punto, che non si perde in giri di parole, che racconta i fatti senza addolcirli ma anche senza trasformarli in una sfilza di date e nomi che si dimenticheranno presto.
Se questo non è giornalismo, non so cosa lo sia. Perché Enquist non sta solo raccontando una storia, sta mettendo a nudo il meccanismo del potere, il modo in cui il mondo accoglie (malissimo) chi prova a cambiarlo. E quando ho finito il libro, sono rimasta a fissare il soffitto con la sensazione che, in fondo, sia sempre la stessa storia: cambiano i secoli, cambiano i volti, ma chi prova a portare la luce finisce sempre per bruciarsi.
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