Il lavatoio, l'acqua che non cancella il passato

Pubblicato il 6 marzo 2025 alle ore 13:24

“Anch’io sono stata condannata all’ergastolo. In una cloaca di dolore putrido, di amnesia forzata, di confusa rimozione che ha finito per prosciugarsi, discretamente nauseabonda. Ma dopo trent’anni passati in questo sarcofago perfetto, la crosta prude, la piaga riparla. Trasuda un qualcosa che va lavato con acqua abbondante.
Andrò quindi al lavatoio, dove la memoria si sfrega contro il granito rugoso, dove la lingua si risciacqua nel torrente che schiuma come un sapone di inchiostro, dove la finzione si fa candeggina.”

Ci sono libri che scegli e libri che ti scelgono. Il lavatoio di Sophie Daull è uno di quelli che sembrano aspettarti al momento giusto. È arrivato tra le mie mani grazie a quello che ormai è un rito imprescindibile al Salone del Libro: la mia tappa fissa allo stand di una delle case editrici che più amo, dove mi faccio consigliare sempre titoli che, puntualmente, si rivelano giusti per me.

Sophie Daull non è nuova a storie dolorose. La sua scrittura nasce dal bisogno di affrontare il dolore, di dargli una forma, forse di espiarlo. Prima c’è stato Camille, mon envol, il libro in cui raccontava la perdita della figlia quindicenne, morta improvvisamente per una malattia fulminante. Poi La suture, un altro romanzo che scava nella memoria e nella ferita ancora aperta della perdita. Ma Il lavatoio ha un’origine ancora più profonda, più antica, che affonda le radici in un trauma vissuto quando l’autrice aveva vent’anni: l’assassinio brutale della madre.

Ed è proprio da qui che prende ispirazione il titolo. Il lavatoio non è un simbolo, un luogo che richiama l’idea di purificazione, di un’acqua che dovrebbe lavare via tutto e che invece non basta a cancellare il passato. Il lavatoio diventa un tribunale immaginario, dove l’autrice mette in scena un processo impossibile. Convoca giudici, avvocati, testimoni, persino l’assassino della madre, e cerca di rimettere insieme i pezzi della vicenda, di trovare un senso, di ottenere una giustizia che forse non arriverà mai.

Ma Il lavatoio non è solo un’indagine o un atto d’accusa. È un libro che mescola realtà e finzione, che alterna il dolore alla lucidità, la rabbia all’ironia. Sophie Daull scrive con uno stile diretto, a tratti tagliente, capace di colpire con precisione senza mai cedere al patetismo. La sua voce è ferma, ma dentro ogni pagina si avverte un’urgenza: quella di fare i conti con un trauma mai risolto, di dare forma a un’assenza ingombrante, di trovare nella scrittura un modo per sopravvivere.

Non è un libro semplice, perché parla di una ferita che non si chiude, di un lutto che non trova conforto. Ma è un libro necessario. Perché, anche se la scrittura non basta a espiare il dolore, può almeno trasformarlo in qualcosa di condivisibile. E così, leggendo, quel fardello non appartiene più solo a Sophie Daull, ma diventa anche un po’ nostro.

A questo punto, vi dobbiamo una piccola promessa. Lo sappiamo, un altro libro intenso, doloroso, lacerante. Ma non temete! La primavera si sta avvicinando e (prima o poi) arriverà anche una lettura più leggera, solare, persino allegra. O almeno, così ci piace illuderci: scorrendo i libri sui nostri scaffali sarà una bella sfida trovare un titolo adatto, eh eh eh! Nel frattempo, restate sintonizzati: chi lo sa quale altra storia (sconvolgente) ci aspetta dietro l’angolo!

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